È recentissima la notizia dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, in sede preliminare, dello schema di decreto legislativo relativo “all’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”.
Esercitando la delega conferita con la l. 27 settembre 2021, n. 134, vi si prevede l’introduzione dell’art. 64-ter disp. att. c.p.p., rubricato “Diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini”.
Secondo l’art. 64-ter, l’imputato destinatario di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e la persona sottoposta alle indagini destinataria di un provvedimento di archiviazione potranno richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione “dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento ai sensi e nei limiti dell’art. 17 del Regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016”.
Ove tale richiesta venga formulata, si legge al 2° e 3° comma, la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento vi appone un’annotazione recante, a seconda del caso, il divieto di indicizzazione o l’ordine di deindicizzazione.
Come è noto, per “deindicizzazione” si intende il procedimento di rimozione di determinati contenuti dall’elenco di risultati che si ottiene digitando determinate parole chiave su un motore di ricerca.
Il termine è divenuto celebre nel 2014, quando la Corte di Giustizia europea, nel leading case Google Spain, ha sancito il “diritto alla deindicizzazione”, ossia il diritto a che determinate notizie non vengano più messe a disposizione del grande pubblico mediante la loro inclusione nell’elenco di risultati che si ottiene tramite il motore di ricerca a partire dal nome dell’interessato.
Si affermava così il terzo significato del diritto all’oblio, che nella sua formulazione originaria è il diritto “al segreto del disonore” nato all’epoca della carta stampata e nel suo secondo significato è il diritto alla contestualizzazione delle informazioni affermatosi con l’avvento di Internet.
La norma in esame pare non sciogliere le perplessità già suscitate dalla legge delega (si consenta di rimandare al contributo dell’Avv. Greco “Nuove prospettive sul diritto all’oblio in ambito penale”).
Secondo alcuni, la riforma introdurrebbe un diritto alla deindicizzazione non suscettibile di bilanciamento con gli interessi contrapposti.
Si tratta di uno scenario difficile da immaginare: il bilanciamento è da sempre inscritto nel codice genetico del diritto all’oblio e del diritto alla deindicizzazione.
Nello specifico, il diritto alla deindicizzazione, per sua natura, implica il bilanciamento tra il diritto alla protezione dei dati personali del singolo e la libertà di espressione, declinata nella libertà della collettività di continuare ad accedere all’informazione mediante il motore di ricerca, e l’art. 17 del GDPR, del quale l’art. 64-ter espressamente richiama i “limiti”, prevede, al 3° comma, lett. a), che le ipotesi di cancellazione enucleate al 1° comma non si applichino quando il trattamento sia necessario per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione.