1. Il caso Google c. CNIL
Il 24 settembre 2019, nell’ambito della causa C-507/17, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha esaminato la delicata questione della portata territoriale della deindicizzazione, per tale intendendosi quell’operazione volta a impedire che un determinato contenuto on line possa essere cercato e trovato tramite motori di ricerca esterni rispetto al sito web che originariamente lo ospita.
Interrogati dal Conseil d’État francese[1], i giudici europei hanno affermato come il gestore di un motore di ricerca, allorché accolga una domanda di deindicizzazione, non sia tenuto alla rimozione del link a livello mondiale, ma nelle sole versioni europee del motore di ricerca.
Non si rinviene invero alcuna norma nel diritto europeo che imponga la deindicizzazione globale; tuttavia, come precisa la stessa Corte di Giustizia, “il diritto dell’Unione neppure lo vieta”.
I giudici europei si astengono dunque dal prendere una posizione netta sull’estensione geografica di un ordine di deindicizzazione, rimettendo all’autorità di controllo o all’autorità giudiziaria di uno Stato membro la possibilità di effettuare “conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali (…), un bilanciamento tra, da un lato, il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e, dall’altro, il diritto alla libertà d’informazione e, al termine di tale bilanciamento, richiedere, se del caso, al gestore di tale motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni di suddetto motore”.
2. I precedenti nazionali
Questa pronuncia giunge dopo che alcune autorità di controllo nazionali avevano già tentato di estendere la portata territoriale degli ordini di deindicizzazione.
Tra queste, non solo la Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés[2], le cui decisioni avevano dato impulso al procedimento principale dinnanzi al Conseil d’Etat sopra richiamato, ma anche il Garante per la protezione dei dati personali italiano, che nel corso del 2017 aveva emesso due ordini di deindicizzazione, entrambi rivolti al gestore del motore di ricerca Google[3].
In tutti questi casi, i Garanti nazionali non hanno incontrato il favore delle autorità giudiziarie.
Nel caso francese, il Conseil d’État ha censurato la possibilità di estendere l’ordine di deindicizzazione, rilevando l’assenza nel diritto francese di una base giuridica che consentisse al CNIL di azionare la deindicizzazione a livello mondiale[4].
Analogamente, il tentativo del Garante italiano è stato frustrato dai giudici del Tribunale di Milano, che hanno annullato entrambi i provvedimenti dell’Autorità. In un caso, il giudice di merito riteneva che il contenuto non dovesse essere a monte oggetto di deindicizzazione, considerando così assorbita la questione della portata territoriale dell’ordine[5]. Nell’altro, il Tribunale affrontava nel merito la questione della portata territoriale dell’ordine di deindicizzazione, giungendo a rilevare come il Garante avesse agito al di fuori del perimetro riconosciuto dalla decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea[6].
3. Gli standard nazionali di protezione
Sebbene la Corte di Giustizia non si sia sbilanciata in tema di estensione territoriale della deindicizzazione, ha offerto uno spunto di riflessione dirimente per interpretare la ricerca di equilibrio tra diritti fondamentali che ciascuna autorità nazionale (di controllo o giudiziaria) è ammessa a condurre. Questa ricerca deve essere infatti effettuata alla luce degli “standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali”.
In altre parole, l’autorità chiamata a effettuare il bilanciamento dovrebbe tenere conto di diritti e interessi, la cui percezione e il cui peso possono variare da uno Stato all’altro Si tratta tuttavia di un’operazione particolarmente complessa che cela
offrendo uno spunto di riflessione Pare che il giudice italiano abbia toccato il punto nevralgico della complessa questione insorta a partire dal paragrafo 72 della pronuncia C-507/17. La chiave di volta nell’interpretazione di questo obiter dictum potrebbe essere costituita, infatti, proprio dal punto dell’imposizione da parte dell’autorità di uno Stato membro del proprio bilanciamento tra diritti ad uno Stato terzo, al quale tale bilanciamento ben potrebbe risultare del tutto estraneo.
Giova ricordare che il diritto alla deindicizzazione vede inscritto nel proprio codice genetico il bilanciamento tra due diritti fondamentali: da un lato, il diritto alla protezione dei dati personali del singolo; dall’altro, la libertà di espressione, declinata nella libertà della collettività di accedere all’informazione mediante il motore di ricerca.
Questo diritto si inserisce nel solco del diritto all’oblio, quel diritto dalla “natura multiforme” che oggi assume almeno tre significati, ognuno dei quali affonda le proprie radici in un diritto della personalità[7].
Il primo, quello originario, consiste nel diritto a non vedere ripubblicate notizie già legittimamente pubblicate, quando sia trascorso un notevole lasso di tempo e non ci sia un interesse attuale alla ripubblicazione della notizia. In questo caso, il diritto all’oblio appartiene “alle ragioni e alle ‘regioni’ del diritto alla riservatezza”[8]. Il secondo è il diritto alla contestualizzazione delle informazioni, oggetto dell’importante decisione n. 5525 del 2012 della Corte di Cassazione e appartenente alla sfera del diritto all’identità personale. Il terzo è il diritto alla cancellazione dei dati personali qualora ricorrano determinate circostanze, attualmente disciplinato dall’art. 17 del Regolamento europeo 2016/679 e anticipato dalla sentenza Google Spain, la celebre pronuncia in cui il diritto alla deindicizzazione è stato affermato per la prima volta.
Come magistralmente è stato scritto, “il bene giuridico complessivamente tutelato è uno solo, quello dell’identità declinata nei suoi molteplici aspetti e nelle sue molteplici forme”[9], in quanto il diritto alla protezione dei dati personali e i diritti della personalità ad esso limitrofi, intersecati dal diritto all’oblio, “sono tutti volti a tutelare un unico bene giuridico: l’identità”. L’identità però non è statica, muta nel tempo: “eventi occorsi in una certa epoca possono non corrispondere più alla personalità di un soggetto in un diverso momento storico. Sul terreno di questo conflitto, fra la verità della storia e l’identità attuale, nasce il diritto all’oblio”[10].
Quando si parla di diritto alla deindicizzazione, dunque, si gioca una partita che vede protagonisti diritti fondamentali, il cui grado di protezione, nel mondo, può essere ben diverso. Se notoriamente l’Unione Europea accorda al diritto alla protezione dei dati personali un livello di tutela molto elevato, così può non essere altrove. Caso paradigmatico è quello dell’ordinamento statunitense, in cui un livello di protezione particolarmente intenso è riconosciuto, piuttosto, alla freedom of expression.
Di questo sono consapevoli anche i giudici europei, che prima di indulgere nell’affermazione dell’astratta facoltà delle autorità nazionali di disporre un ordine di deindicizzazione globale, affermavano: “In un mondo globalizzato l’accesso da parte degli utenti di Internet, in particolare quelli localizzati al di fuori dell’Unione, all’indicizzazione di un link, che rinvia a informazioni concernenti una persona il cui centro di interessi si trova nell’Unione, può (…) produrre effetti immediati e sostanziali sulla persona in questione anche all’interno dell’Unione (…) Occorre, tuttavia, sottolineare che molti Stati terzi non riconoscono il diritto alla deindicizzazione o comunque adottano un approccio diverso per tale diritto”[11].
Il punto poi era già al centro delle conclusioni dell’Avvocato generale, che, non solo rilevava come “l’interesse del pubblico ad accedere all’informazione [vari] necessariamente da uno Stato terzo all’altro, a seconda della sua collocazione geografica”, ma avvertiva: “se un’autorità dell’Unione potesse ordinare una cancellazione a livello mondiale, ciò costituirebbe un segnale fatale ai paesi terzi, che potrebbero parimenti disporre una cancellazione in forza delle proprie leggi. Ipotizziamo che, per una ragione qualsiasi, taluni Stati terzi interpretino determinati loro diritti nel senso che precludono alle persone che si trovano in uno Stato membro dell’Unione di accedere a un’informazione ricercata. Sussisterebbe un rischio reale di corsa al ribasso a danno della libertà di espressione, a livello sia europeo che mondiale”[12].
Questo, forse, è il punto nodale da tenere a mente ogni qual volta si discuta dell’enforcement extraeuropeo degli ordini di deindicizzazione, in attesa che la questione trovi una più sicura definizione. In ogni caso, l’incertezza che sembra imperare in materia non stupisce affatto: non solo il diritto alla deindicizzazione, ma il diritto all’oblio complessivamente inteso necessita di “[un’] opera di rielaborazione e sistematizzazione di cui giurisprudenza e dottrina dovranno occuparsi”[13].
[1] Nella specie, il Conseil d’État sollevava il rinvio pregiudiziale nell’ambito del ricorso promosso dal gestore del motore di ricerca Google avverso il provvedimento del Garante privacy francese con cui era stato condannato al pagamento di una sanzione di euro 100.000 per non aver adempiuto all’ordine di applicare il rimedio della deindicizzazione a tutte le estensioni del nome a dominio del suo motore di ricerca. La decisione della Corte di Giustizia europea è disponibile on line al seguente link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62017CJ0507&from=it , consultato il 13 luglio 2021.
[2] Il Garante per la protezione dei dati personali francese, di seguito anche “CNIL”.
[3] Si tratta, in particolare, del provvedimento n. 557 del 21 dicembre 2017, doc. web. n. 7465315, consultabile on line al seguente link https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/7465315 , consultato il 12 luglio 2021 e del provvedimento n. 445 del 26 ottobre 2017, doc. web n. 7323489, consultabile on line al seguente link https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/7323489 , consultato il 12 luglio 2021.
[4] Sentenza n. 399922 del 27 marzo 2020. V. il par. 10, in cui si legge: “Si la CNIL soutient en défense que la sanction contestée trouve son fondement dans la faculté que la Cour de justice a reconnue aux autorités de contrôle d’ordonner de procéder à un déréférencement portant sur l’ensemble des versions d’un moteur de recherche, il ne résulte, en l’état du droit applicable, d’aucune disposition législative qu’un tel déréférencement pourrait excéder le champ couvert par le droit de l’Union européenne pour s’appliquer hors du territoire des Etats membres de l’Union européenne”. A tale proposito, può essere utile richiamare quanto attualmente riportato dall’Autorità francese sul proprio sito web, in cui, nella sezione informativa dedicata al tema della deindicizzazione, si legge: “In France, the French Council of State considers that the CNIL could only order such de-referencing beyond the European territory in the event where a law would foresee it. No law provides for it to date”. La sezione è disponibile al seguente link https://www.cnil.fr/en/right-de-listing-questions , visitato in data 12 luglio 2021.
[5] Trib. Milano, sez. I, 5 settembre 2018.
[6] Trib. Milano, 21 settembre 2020, n. 4597.
[7] La presente ricostruzione costituisce un adattamento delle riflessioni sviluppate da Finocchiaro. V. in particolare: Finocchiaro, La memoria della rete e il diritto all’oblio, in Dir. Inf., 3, 2010, pp. 391-404; Ead., Identità personale su Internet: il diritto alla contestualizzazione dell’informazione, in Dir. Inf., 3, 2012, pp. 383-394; Ead., Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, in (a cura di) Resta-Zeno Zencovich, Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, Roma, 2015, pp. 29-42; Ead., La giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di dati personali da Google Spain a Schrems, in Dir. Inf., 4-5, 2015, pp. 779-799; Ead., Diritto all’oblio e diritto di cronaca: una nuova luce su un problema antico, in Giust. civ., 1, 2019, pp. 1-6; Ead., Le Sezioni Unite sul diritto all’oblio, in Giust. civ., 7, 2019, pp. 1-5.
[8] Ferri, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in Riv. dir. civ., 1990, p. 801 e ss.
[9] Finocchiaro, Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, cit., p. 41.
[10] Ibidem.
[11] C-507/17, parr. 57-59.
[12] Conclusioni dell’Avvocato generale Szpunar, parr. 60-61, disponibili on line al seguente link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62017CC0507&from=it , consultato il 13 luglio 2021.
[13] Finocchiaro, Diritto all’oblio e diritto di cronaca: una nuova luce su un problema antico, cit., p. 6.